Era estate, sul finire degli anni ’90. Io e le mie amiche di allora avevamo preso un appartamento in affitto per le vacanze, al mare. Era un appartamento per quattro persone in cui avremmo abitato in sette: non appena arrivate, ci mettemmo al lavoro per fare spazio e spostare un po’ tutto. Ricordo che avevamo perfino scardinato una porta che ostacolava movimenti e dispiegamenti di sacchi a pelo. In quel trambusto notai qualcosa sporgere da sotto un letto: era una carta, forse una carta da gioco, vecchia e malandata di un tipo che non avevo mai visto.

C’era una scena disegnata e delle scritte sotto, in varie lingue. Quella carta era sbucata fuori in avanscoperta, quasi a dire “Ehi, siamo qui”. Mi chinai e sotto il letto c’erano le sue compagne, un mazzetto stretto da una gomma elastica nera che aveva tutta l’aria d’essere stata tagliata dalla camera d’aria di ruota di bicicletta. Un intero piccolo mazzo di strane vecchissime carte nell’appartamento delle vacanze al mare: che meraviglioso contrasto. Sfogliai quelle carte una a una, senza sentire o vedere più nulla di ciò che succedeva intorno. Chissà quante dita, quante vite, quante storie le avevano sfiorate negli anni, prima di finire nelle mie mani. In quanti posti erano state, prima di arrivare lì, sotto quel letto dell’Ikea.

Le contai: 28 in tutto, forse si erano perse qualche compagna per strada, nel tempo, passando di mano in mano. Qualcuna era più malconcia, mangiata sugli angoli, ma la più provata era la carta che rappresentava la morte, sopravvissuta solo a metà. Mancava la parte sottostante, quella con le scritte nelle varie lingue, strappata o tagliata di proposito come a dire “non ci sono parole per la morte”. Infilai la prima carta nel mazzetto con le altre: strette in quell’abbraccio grezzo di gomma nera, le portai a casa con me a vacanza finita.

Fra le persone a cui raccontai di quel bizzarro ritrovamento, nessuno mostrò il mio stesso entusiasmo, anzi: mi venne consigliato di disfarmene perché chissà quali energie negative s’erano accumulate in quel mazzetto. Invece io di tanto in tanto me le guardavo e mi chiedevo quale fosse il loro utilizzo, forse servivano proprio a predire il futuro e non a giocare, ma non assomigliavano per nulla ai classici tarocchi: dov’erano l’appeso, la papessa, la torre e gli altri? Le riposi in un cassetto, poi in un cofanetto, ogni tanto le guardavo, le spostavo, tornavo a cercarle e qualche volta non riuscivo a trovarle più. Poi, da qualche parte in casa, le ritrovavo mentre cercavo altro.

Questo loro apparire e scomparire nel tempo, negli anni mi ha fatto tornare in mente un vecchio episodio di Lupin III, dove c’era un mazzo di carte che si comportava un po’ come il mio: appariva e scompariva. Il mazzo di Lupin era famoso per essere appartenuto a Napoleone e avergli portato fortuna nelle sue battaglie, ma chi può dire che anche le carte trovate da me non fossero appartenute a qualche personaggio storico?

Quando ho cambiato casa le carte sono sparite di nuovo, a lungo. Per sempre, temevo. Ogni tanto mi tornavano in mente nei momenti più inaspettati, quando incappavo curiosamente in altri mazzi di carte: in che modo? Io amo esplorare case e luoghi abbandonati, mi piace fotografarne gli interni, ed è strano quanto sia comune trovarvi carte da gioco, abbandonate sui tavoli, sparpagliate sui pavimenti: ai giorni nostri le carte hanno qualcosa di anacrostico, anche se stanno dentro a una casa pericolante. Ma nulla mai assomigliava alle carte che avevo trovato io, e poi perso.

Un mazzo di carte, per certi aspetti simile, lo trovai nel luogo più impensabile in assoluto: online. Erano carte enigmatiche e affascinanti, ma erano virtuali e servivano per un concorso letterario: ogni settimana ne veniva estratta una, e i concorrenti dovevano usarla come ispirazione per continuare la propria storia entro un tempo limitato. Credo sia stato l’unico concorso cui abbia mai partecipato, mi sono divertita e il racconto che ne saltò fuori ancora mi piace, come pure il titolo che avevo scelto “Cose che luccicano“.

Mi sarebbe piaciuto usare le carte ritrovate per fare la stessa cosa, scrivere un racconto estraendole una a una, a caso, secondo il volere della sorte. Usare le carte non per leggere il futuro e nemmeno il passato, ma per scrivere una storia inventata, di quelle che stanno sul confine fra il reale e il fantastico.

La bella notizia è che qualche settimana fa il mazzo è comparso di nuovo: sullo scaffale di una libreria, a casa dei miei, come se fosse sempre stato lì. Ma io non ci credo molto. Ora dovrei sbrigarmi a sfogliare le carte e a scrivere, prima che spariscano di nuovo.

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