Erano i miei anni del liceo, tempi di levatacce e di lunghi viaggi in corriera attraverso campagne sonnacchiose. I pomeriggi erano per lo studio, la musica a tutto volume e la tivù qualche volta. Facevo zapping, davo occhiate veloci a “Non è la Rai” perché…, chissà perchè, mi sarebbe piaciuto somigliare a Miriana. Il telefono era uno e fisso, quello di casa, mi appollaiavo lì per dettare la versione di latino a Nicola e per ridere, ma non si poteva restare troppo ché andava su la bolletta e poi la linea restava occupata. Sempre, dopo cena, correvo in camera ad accendere il CB, una cosa che appena qualche mese prima non sapevo nemmeno esistesse. Era stata la prof di lettere a raccontarci, per caso, di radio e microfoni e antenne sui tetti che sembravano scheletri di ombrelli. Ne ero rimasta affascinata e poi, come succede quando le cose nuove decidono di entrare nella tua vita, ne sentii parlare ancora e decisi di assecondare il destino. Tutto merito di un ragazzotto, venuto a fare alcuni lavoretti lì dai miei: mi raccontò di amici dai nomi strani con cui chiacchierava al CB, disse che ne aveva uno da vendere, antenna inclusa. Così entrai in quel nuovo mondo fatto solo di voci, il mondo del CB, detto pure baracchino, radiotrasmittente.

Era la stessa radio che hanno i camionisti per parlare fra loro, ma a quei tempi trovavi in linea chiunque. Adolescenti, ragazze e ragazzi, o gente un po’ più grande che già guidava e s’era installata il CB in auto, con l’antennone lungo che spuntava dalla cappotta. C’era questo gran chiacchierare, un gran bailamme su ciascuno dei 30 canali della banda di frequenza utilizzabile, la banda cittadina, citizen band, CB, appunto. La tua voce, e quelle che ascoltavi, coprivano un raggio di poche decine di chilometri. C’erano le voci che ritrovavi ogni sera, quelle che conoscevi per il tempo di due parole prima che sfrecciassero via per sempre, quelle gracchianti per i disturbi, che decifravi appena e poi affogavano nel mare di interferenze. Il mio canale era il 19, tenevo un’agenda su cui segnavo data e ora e i nomi di chi entrava in ruota, nella conversazione.

Penna Rossa, Elvox, Manuel, Libellula, Titti, Memphis, Rascal, Sorcio (sì), Pantera, Viper, Baracca e altri che meritavano il premio fantasia: Califfo, Volpe astuta, Veliero, Bavaria, Kabubi. Non ricordo di cosa si parlasse, stupidaggini. Non dovevi mai dire il tuo nome, vietato fornire indirizzo o numero di telefono, ma ogni tanto ti accordavi con qualcuno per fare una verticale, il fatidico incontro dal vivo. E allora c’era da stabilire dove e quando con messaggi in codice, per non far capire nulla a chiunque fosse lì sotto, silenzioso, in ascolto. A volte ti dimenticavi che le conversazioni le poteva ascoltare chiunque.

Una volta accettai di conoscere un ragazzo con cui parlavo da un po’, il suo nomingnolo al CB era Pop Corn, sì, semplicemente Pop o “il Pop”. L’appuntamento era davanti a un bar che proprio quel giorno scoprii essere chiuso per ferie. Poco male, ero arrivata prima io e restai ad aspettare. Di lì a poco arrivò un’auto, parcheggiò e ne scese un bel ragazzo che venne verso di me. Non poteva essere che lui, chi altri si sarebbe fermato a un bar chiuso? Gli feci un bel sorriso e dissi d’un fiato “Ciao, sei il Pop?”.
Fece una strana espressione e disse “no” e io, beh… imbarazzo paralizzante.
Ancora oggi mi vergogno. Anche adesso.
Mi chiese se ci fosse un distributore di sigarette lì e io continuavo a sentire solo “Ciao, sei il Pop?” che si ripeteva in loop nella mia testa. Il fantomatico Pop Corn arrivò poco più tardi: nulla a che vedere con il suo predecessore ma in ogni caso io ormai lo odiavo e volevo essere ovunque tranne che lì. Non lo rividi più, anzì sì, una volta in discoteca e feci finta di non conoscerlo. Gli adolescenti sono stronzi.

Di verticali ce ne sono state tante, ma la magia del CB era nelle voci senza un volto e di quelle ce ne sono state molte di più, ciascuna con una storia talvolta incredibile. Ogni tanto dal rumore di fondo, dal gracchiante QRM, saltava fuori una vocetta a sua volta gracchiante e dal fortissimo accento spagnolo. Era Concita, un’anziana signora che sapeva bene tenere a bada i bulli del CB che la insultavano. Non l’ho mai vista di persona, dicevano amasse passeggiare in Prato della Valle con un paio di cagnolini che abbaiavano un sacco. Una notte ci attardammo a parlare io e lei e mi raccontò della sua vita, del marito che non c’era più da tanto tempo. Avevano girato il mondo e fatto i lavori più strani, perfino in un circo. Mi raccontò vicende che io purtroppo non ricordo più, ma ricordo la sua voce e quell’atmosfera indefinita e sognante che le sue parole, con l’accento della vecchiaia mescolato a quello spagnolo, avevano evocato.

Il CB mi ha fatto compagnia per parecchi anni, più di una decina credo. Ho iniziato quando c’era un gran bailamme di voci su tutti i 30 canali e ho continuato anche quando una dopo l’altra quelle voci hanno smesso di farsi sentire. Negli ultimi tempi c’era il vuoto e il rumore di fondo sottolineava le assenze. Internet cominciava a entrare prepotente nelle case.
Un pomeriggio d’estate scoppiò un temporale che se la prese con l’antenna a scheletro d’ombrello che svettava sopra casa mia. Così giunse anche per me il momento di chiudere le trasmissioni, cosa che avrei fatto comunque di lì a poco. Era finita un’epoca e per me si concludeva qualcosa che mi aveva reso diversa: avevo conosciuto e ascoltato persone che nella mia vita di quei tempi non avrei mai avuto occasione di conoscere e ascoltare. Credo che quella radiolina nera in qualche modo mi abbia reso migliore e per questo la ricorderò sempre con riconoscenza.

Ah, volete conoscere il significato dei numeri nel titolo di questo articolo amarcord? Lo trovate qui, assieme a tutta la bizzarra terminologia CB